Questo mondo

Questo mondo è molto semplice. È fatto così.

A sud c’è il mare, e tutto quello che sta intorno al mare.
Di fianco, vicino, appoggiato al mare: paesini pieni di piste ciclabili, vuote d’inverno; panifici che profumano di sale; piedi in infradito, facilmente sporchi; pelle scura, spesso secca, bambini che si
tirano via le pellicine delle scottature; palloni poco pesanti; molta strada a corsie strette, sempre dritta, che incontra case uguali, con uguali tavolini di plastica da giardino, e qualche rara villetta sola,
abitata da gatti.


Al centro c’è la Regione. L’unica città è P.
P. è così grande che è grande quanto la Regione. È grande perché ci sono molti negozi, molti soldi, molte facce. P. è come un ragno grasso. Al centro di P. c’è il corpo tondo e gonfio, pieno di negozi, che contengono negozi, che contengono reparti, che contengono scaffali. E grattacieli pieni di uffici, pieni di sedie. Nel corpo di P. tutti vanno per le strade, come sangue: veloci con le macchine, meno con i mezzi. Spesso, ingorghi davanti alle vetrine.

Le zampe di P. non sono otto, ma migliaia. Piene di case. Dentro le case ci sono le stesse persone che prima erano nei negozi, se è sera. Le case sono tante, a volte sono palazzoni grigi, ricoperti di
panni stesi, altre sono basse, con vialetto, cane e giardino. I quartieri hanno dei numeri. Così si fa prima.


A est, molto lontano a est, la città di V. sta sulla schiena della Regione (come una pulce su un cane).
La gente di V., un tempo, nasceva a cavallo. Chiamava V. ogni terreno asciutto su cui piantare una tenda, e ogni rigagnolo in cui far bere una capra. Poi le donne di V. hanno iniziato a far figli con uomini del Nord, uomini che volevano crescere i loro figli in case di pietra. Così adesso V. è una città, ma anche tutti quei luoghi intorno alla città in cui si può ancora piantare una tenda, o far bere una capra.

Città di V. è vecchia, quindi bella e povera. Piove molto, e c’è fango. Le donne portano ancora vesti fino alle caviglie, e cesti in mano. Vacche sbiadite camminano dove vogliono. Case di legno, ma pochi incendi. Due pali magri, soli, si fanno forza assieme per sollevare un filo della corrente, e uno del telefono.
Le strade di V. salgono tutte al palazzo del Governatore. Se dai cancelli si guarda nei giardini, a volte passano loro, con i vestiti puliti. Il Governatore governa V. perché prima di lui sua moglie, e il padre di sua moglie, amavano vivere in case di pietra.


A nord c’è il Nord.
Il Nord è grande, è freddo, e si chiama Nord. Tutto quanto.
A Nord le persone sono davvero ricche e davvero strane.
(Ma questo lo dice la gente del sud.)


Tra il Nord e tutto il resto c’è la dorsale.
Ci sono case sulla dorsale, questo è sicuro. Gente, ogni tanto, non si sa bene dove. Sotto le montagne, di certo alcuni paesini stanno, come mosche chiuse dentro un pugno.
Quello che c’è di certo sulla dorsale è: alberi, sassi, neve, orsi, ricci, cervi, cinghiali, draghi con le ali, draghi senza ali, lucertole grosse come persone, o piccole come lucertole, serpenti poco velenosi, scoiattoli, lepri in quantità, poche strade battute e sicuramente molti morti.
La dorsale è lunga quanto è lungo il mondo, sta tra il nord e il sud, e di lì non si muove.


L’Accademia è nel centro della dorsale. Cresce in mezzo all’unica vera strada che va dal Nord alla Regione. Le mura dell’Accademia sono alte venticinque metri. Nelle reti fuori dalle mura passa ogni minuto il fulmine. Fuori dalle reti, fanno la guardia i draghi.
È impossibile guardare dentro, a meno di non essere un soldato.

[Questo è il mondo. Qui la storia.]

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